milena kunz bijno

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©2022 Milena Kunz Bijno | Löwenburgstraße 37 | 53604 Bad Honnef / Rhöndorf | Tel 02224 - 73949 | EMail milenakunzbijno(at)yahoo.de

Kataloge   

Drawing

 Algels- Angeli

Indian Collages

Lichtwege

Parole ritrovate – Über die Zeit hinaus

Die Kataloge sind bei der Künstlerin erhältlich.


 


Publikationen in Sathya Sai Vereinigung e.v. erschienen und erhältlich


 


„Es gibt nur ein Gott“


„Sathya Sai Baba der Avatar unserer Zeit“


„Die Flöte“

Publikationen

Pubblicazione  in Italia

Quest’anno, a giugno 2017 , in tempo per essere presentato al Salone del libro di Torino, l’Editrice La Psiche ha pubblicato  :”  E  SE  DIO  CI  FOSSE?”

Con questa testimonianza l’autrice  ci racconta attraverso delle lettere scritte in tempi diversi dalla Germania, dall’Italia, dall’India il suo incontro con Sathya Sai Baba.

Si tratta di un lavoro autobiografico molto interessante.


E se dio ci fosse?

Milena Kunz-Bijno nasce a Torino nel 1942. Nel 1963 sposa un diplomatico tedesco e si trasferisce in Germania. Tra il 1966 e il 1970 è a Bombay. L’India, con i suoi colori, la sua esuberante bellezza e sua antica e profonda religiosità, rimarrà il motivo di sottofondo della sua creazione artistica. «La vita come compimento di una psicosintesi che ricolleghi la vita umana alla trascendenza, l’arte alla spiritualità, ed il ravvicinamento tra l’Occidente e l’Oriente sono gli scopi della mia ricerca personale», dice la pittrice. «Un’esperienza esistenziale, quasi non comunicabile per strade razionali. Un bilanciarsi (o sbilanciarsi?) tra il voler comprendere e il trovare risposte e poi l’attonito silenzio del cuore di fronte al mistero.

Cosa sono queste mie Lettere? Un pezzo di racconto autobiografico trovato in un cassetto della memoria, frammenti, recuperati, ricuciti, disseminati nel tempo…

Sono forse il tentativo di storicizzare un incontro che ha segnato tutta la mia vita?». Così scrive Milena Kunz- Bijno, pittrice, madre, torinese doc e moglie di un diplomatico, che attraversa mondi geografici, ideologici e religiosi, affamata di verità che diano un senso alla vita. Incontra Sai Baba e questo incontro la sconvolge, indirizzando poi il suo percorso umano a cercare più in profondità il Divino. Senza forzature ideologiche o dogmatiche, ma con impegno e una faticosa ricerca disseminata non da certezze, ma da profonde introspezioni, l’autrice propone con una scrittura semplice il racconto di un vissuto interessante e importante. In questo tempo in cui le mails attraversano il mondo a velocità pazzesca, scrivere lettere sembra anacronistico, quasi museale. L’incontro con il Divino merita una riflessione che per entrare in profondità esige un lento maturare, quello, appunto, di tutta una vita.



La mia India


L’India, la mia India, forse non esiste nella  realta’ odierna, forse e’ solo la riminiscenza di un tempo passato, che ha lasciato traccie nella mia memoria,forse....

E’ l’anno 2010 e sono a Puttaparthi, un  luogo di pellegrinaggio, pulsante di devozione, in cui si venera il Kalki Avatar, Sri Sathya Sai Baba.

Questo paesino,  che cinquanta anni fa’  non aveva che quattro case  di fango  senza luce ,di cui non c’era traccia

sulle carte geografiche dell’Andhra Pradesh,  ora e’ in piena espansione edilizia e commerciale  ed alberga uno dei piu’ grandi Ashram dell’India.

“ La dimora della pace suprema”, cosi’ Sathya Sai Baba ha voluto chiamare il suo Ashram, accoglie pellegrini da tutto il subcontinente e da tutto il mondo.

 Nelle sue vicinanze  e' stato costruito un  enorme , modernissimo ospedale. in cui tutti  vengono trattati gratuitamente  e ci sono  edifici bellissimi e colorati per albergare le tante  scuole , colleges e l’universita.(anche queste gratuite)

 Prasanthi Nulayam ( il nome indiano dell’Ashram) e’ un  mondo in miniatura , un continuo va e vieni di gente di tutti i tipi, di tutte le classi sociali, di tutte le razze.

 Nella mia piccola stanza nell’Ashram ho tempo per ricomporre le immagini della mia India.

 Cio’ che sto’ scrivendo dovrebbe far parte di un catalogo dedicato a i miei lavori “ indiani”, ma sara’ piuttosto una dichiarazione d’amore ad un paese che non e’ il mio, ma che ha saputo nutrire la mia anima e la mia ispirazione.

 Io, l’India ,l’ho sognata  da bambina leggendo Kipling e, per la mia immaginazione infantile ,era un paese incantato ,con magnifici templi abbandonati nelle foreste e brulicanti di scimmie,  in cui invece che prendere il  tram, si saliva su di un elefante. Bisognava far attenzione ai cobra ed inchinarsi ai Maraja’.

 Piu’ tardi arrivarono Mahatma Gandhi e Tagore ad attirare la mia attenzione di adolescente culturalmente  piu'attenta.

 Nel  1966 mio marito ed io fummo trasferiti a Bombay. Le mie conoscenze del paese, che avrei abitato per quattro anni e che avrebbe dato il natale ai miei due bambini , continuavano ad essere rudimentali.

 Bombay era  a quel tempo, una citta’ in piena espansione, interessantissima, culturalmente viva ed io , impreparata  e giovanissima, mi sforzavo  di capire un po’ di piu’  di tutto cio’ che mi circondava.

 Avevo gli occhi pieni di colori vividi ed imprevedibili, di bellezza e di bidonville , le narici colme di profumo di gelsomino, di spezie,di salmastro,di odore nauseabondo delle fogne a cielo aperto.

 Guardavo con stupore i riti nei templi, la poverta’ dei senza tetto, la ricchezza sfavillante ed ingioiellata dell’alta societa’,  cercando il cuore di un paese splendido e poverissimo, molto complesso , la cui cultura  risaliva all’alba della civilta’ .

 Ebbi modo di conoscere pittori a quel tempo non ancora famosi, ma straordinari, come Gaitonde ,Hebbar, Hussain, Panchal . E tra una gravidanza e l'altra preparai  anche 2 mostre personali,: una alla Chemould Art Gallery , presentata da Sir Jeangir ed una all”Artists Center, a quel tempo diretto da Ara.

 Ricordo con quanto entusiasmo ed orgoglio  la comunita' parsi accolse un concerto diretto da Subin Metha, e come la sitar ed il violino, di Ravi Shankar e di Menuhin, quasi in un duetto amoroso, mi trasportarono in uno spazio di pura armonia,al di la di ogni confine culturale.  

 L’India di Indira Gandhi si risvegliava man mano alla sua grandezza, ed io , un po’ come Alice nel paese delle meraviglie, continuavo a stupirmi.

 Lo faccio ancora oggi, dopo 40 anni, chiedendomi : qual’e’ il vero volto di questo paese?

 Ancora non lo conosco, ma lo amo.

 Quando a Bangalore vedo il Technology park (la Silicone valley indiana ), con le sue cattedrali  di acciaio e di vetro,simboli della nuova era, e di fronte, nel bel mezzo dello stradone brulicante di macchine  e di mezzi di ogni genere, una pacifica mucca che mangia la poca erba dello spartitraffico, non posso che sorridere.

 E’ la vera India al Nord, sul Gange, a Varanasi o Rishikesh ?

 Andando verso il profondo sud, nel Tamilnadu, dove Shiva regna supremo ed in suo onore sono stati costruiti delle citta’ tempio incredibili, si ha l’impressione che l’ India  medioevale sia rimasta li’, quasi intatta, con la sua gente, i suoi riti, lo scandire sempre uguale dei mantra dei bramini.

 Ma come non ricordare il Rajastan, pazzo di colori, le cui donne portano come regine sari ricoperti di lustrini e gli uomini turbanti multicolori e baffoni enormi alla Francesco Giuseppe?

 L’eleganza senza pari dell’architettura moghul, raffinata e purissima si sposa a Dehli ed Agra con palazzi moderni e stravaganti , torri di cemento brutte ed anonime ,mentre la citta’  coloniale, con grandezza vittoriana, ricorda  con le sue colonnate ed i suoi viali di rappresentanza, gli sfarzi del dominio inglese.

 Qua in questo Ashram, vedo sfilare i volti di tutto il paese: ci sono i contadini del Nilgiris, i  dotti del Bengala, i keraliti, le eleganti signore di Mombay e di Delhi :ci sono i sadhus e gli  industriali, i siks, i monaci tibetani  e  i bramini a petto nudo con il loro sacro cordone.

 Qual’e’ il vero volto dell’India?

 Mi fa piacere pensare che il suo vero cuore sia quello religioso e spirituale, e quando leggo sul giornale  che il tempio di Tirupathi (il tempio piu' ricco del paese) pensa di costruire un tapis roulant per facilitare l'afflusso giornaliero dei pellegrini ( circa 70.000 ogni giorno !), mi sembra di averne la conferma.

 Anche qui in questo ashram ci sono attualmente tra le 300.000 e le 500.000 mila persone. Il 23 novembre si celebrera'  l'ottantacinquesimo compleanno di Sai Baba.I preparativi  per le varie festivita'  continuano notte e giorno. Si dara' da mangiare gratis per 7 giorni a tutti i pellegrini e  i 5000 devoti  addetti alla preparazione dei tre pasti giornalieri, stanno armeggiando  tra pentoloni  enormi nelle diverse cucine da campo , installate un po' dovunque. Un Medical Camp con dottori ed infermieri e' pronto per ogni eventualita',e per l'aspettata visita del Presidente Indiano e del Primo Ministro sono arrivati circa 10.000 poliziotti ,che hanno mansioni di controllo e di monitoraggio della folla. C'e' talmente tanta gente, che e' quasi impossibile circolare per le stradine dell'ashram e quindi preferisco star seduta a preparare con tanti altri le interminabili ghirlande di fiori  che dovranno adornare il tempio per le festivita'.

 L'indiano medio non va in  vacanza, ma in pellegrinaggio ai diversi sacri luoghi.

 Durante le diverse feste religiose, e ce ne sono tantissime, masse enormi umane si spostano nella penisola ,per assistere ad un fuoco che si accende su una montagna in una notte di luna piena, al matrimonio di un dio o di una dea, al compleanno di un Avatar leggendario vissuto chissa' quando. Durante particolari costellazioni astrologiche ci si butta nei sacri fiumi, pregando per la liberazione dal ciclo delle nascite e delle morti.

La religione in India non e' un optional, ma la spina dorsale del paese.

 I riti elaborati dei templi, eseguiti da frotte di bramini a torso nudo, ma con debito cellulare nascosto tra le pieghe del dhoti, sono solo l'apice di una devozione che trova piccoli altari in ogni casa, anche in quelle piu' umili. Si offre alle divinita' latte, miele, frutta ed  il primo cucchiaio di cibo preparato dalla massaia per la famiglia.

 Ganesha, il dio con la testa di elefante, e' il beniamino dell'India, il piu' amato, forse il piu' venerato, ma anche il piu' occupato. Deve fare di tutto: proteggere, togliere gli ostacoli, aiutare negli affari,cercare mariti gentili  con suocere non troppo severe, far passare agli esami, cercare un lavoro, dare coraggio e forza in tutte le circostanze.

 Per me ,come pittrice, l'India e' la terra dei colori. Abituati al grigio, cachi, nero del normale abbigliamento europeo, gli occhi non si stancano di guardare i sari delle donne indiane. I sari colorano il subcontinente, rendendolo, festoso, femminilmente piacevole,dignitoso ,coprendo pietosamente anziane non piu' belle, facendo risaltare gli occhi sfavillanti e neri delle giovani con delle sfumature che  hanno una ricchezza cromatica imprevedibile.

 Molti lavori qua presentati  sono collages di tessuto, ricamato o meno, in omaggio  alla ricchezza, ricercatezza  e bellezza dei sari indiani. Quale donna puo' resistere al loro fascino?

 I frammenti  di colore e di memoria che ho messo sulle tele   vi portino  a ripercorrere con me un viaggio in un paese , che pur in piena espansione economica, non  dimentica i suoi dei.

 Grazie, Mother  India! Grazie per l'ispirazione, la devozione, la bellezza, grazie  al tuo popolo che con perseveranza, pazienza e dignita' ha saputo preservare per tutti noi un tesoro inestimabile di spiritualita'  ed i valori eterni che reggono le sorti umane. Grazie.

Puttaparthi, Novembre 2010, Milena Kunz Bijno







































Zwischen Himmel und Erde

Eine Weihnachtsgeschichte

Für alle Kinder

groß und klein,

die noch an Wunder

glauben


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